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Trento, 12 luglio 2020
IL DIBATTITO
Negozi e feste da santificare
di Lucia Coppola
da l'Adige di domenica 12 luglio 2020

Sin da bambina ho sempre pensato al giorno di festa come a un momento speciale da condividere con la famiglia e gli amici, oltre alla sua accezione cristiana, che pure ha fatto da sfondo alla vita di tanti di noi. Il momento sacro e atteso in cui si sperimentavano relazioni. piccoli progetti, la gita al lago, il pic-nic, il gioco libero, il lavoro in giardino, il buon cibo: momenti di allegria e svago nella narrazione di un quotidiano che dava il tempo al tempo, allo svolgersi rilassato delle dinamiche familiari.

Dinamiche comprensive pure di qualche malinconia, di contrasti e beghe come in ogni festa, e famiglia, che si rispetti. Ora mi sembra che la discussione sul Disegno di Legge della Giunta provinciale, relativo alle chiusure domenicali, abbia assunto una piega molto lontana sia dai bisogni e dalle necessità delle persone, siano essi lavoratori o consumatori, che dal senso di un provvedimento che, a mio avviso, avrebbe avuto un suo valore intrinseco, viziato però da troppi distinguo e gestito con modalità non condivisibili.

I due ordini del giorno approvati, che prevedono l'apertura domenicale dei negozi che insistono su direttrici di grande traffico, vanificano tutto perché aprono ad ampie interpretazioni. Posto che già metà dei comuni trentini sono considerati turistici. Un tema cosi divisivo per sua natura avrebbe richiesto inoltre ben altri tempi che non quelli di un procedimento d'urgenza, francamente poco comprensibile, con l'ascolto accurato delle parti, gestori, lavoratori e consumatori. Con maggior consapevolezza dei limiti, dei paletti costituzionali e delle possibilità reali, per contro, di far passare attraverso la Commissione dei Dodici una norma di attuazione che desse alle due province autonome di Trento e Bolzano la possibilità di decidere nel merito, senza mosse avventate e improvvisate. Ciò non è avvenuto, purtroppo, e si è andati al voto senza neppure sapere quali sarebbero stati i luoghi del Trentino compresi nell'ambigua definizione di "località turistica" (le cui maglie si allargano o si restringono a seconda delle convenienze), decisi in separata sede dalla Giunta provinciale il giorno successivo al voto. Metodi inusuali e certamente poco idonei ad ottenere larghe condivisioni.

Penso che le chiusure domenicali, che certo non sono un tabù del quale non si possa discutere, rappresentino un motivo di salute e benessere fisico e mentale per gli addetti ai lavori. dunque non solo il giorno libero ma il giorno di festa, lo stesso, presumibilmente, per tutti i componenti della famiglia e per gli amici. Ricordo a questo proposito che il 61% dei lavoratori del commercio sono donne. Dunque un'attenzione particolare alla conciliazione tra il lavoro fuori casa e quello di cura si rende necessaria e non può che riverberarsi positivamente anche sulla qualità del lavoro. Da affrontare con meno stress, più soddisfazione e certo con più entusiasmo.

Va anche detto che il terziarlo è uno dei comparti che vale meno in relazione al pagamento di tempi straordinari o aggiuntivi. La maggiorazione oraria è del 30% contro il 50% per i metalmeccanici e il 60% per i lavoratori dell'editoria. Chi ha un part-time a 700 euro ne prende a fine mese, se tutto va bene, 50 in più. La media è di 70 euro in più in busta paga. E negli ultimi anni parecchie catene di distribuzione hanno completamente abolito gli integrativi. Dunque 52 domeniche l'anno in cambio di compensi miserevoli o anche di niente. Peraltro le ricerche di settore ci dicono che il sabato è la giornata con la più alta incidenza di acquisti, con il 51% di presenze, che calano drasticamente al 24,2 di domenica.

Il volume degli acquisti peraltro non è cresciuto in questi anni di liberalizzazione mentre sono aumentati i costi di gestione dei punti vendita aperti sette giorni su sette. Ma davvero pensiamo che sei giorni, con orari continuati fino alle 20 non siano sufficienti per gli approvvigionamenti familiari?

Dopodiché non condivido il nesso tra apertura dei negozi e la definizione di "comune turistico". Mentre pare acclarato che chi visita le bellezze artistiche e culturali delle due maggiori città del Trentino non necessariamente lo fa pensando di andare al supermercato a fare la spesa o a comprarsi le scarpe, a meno che non sia un consumatore compulsivo, come si fa a dire che Rovereto con il suo bellissimo centro storico, le Mura medievali di Castelbarco, la Casa del Podestà edificata nel periodo di gloria della Serenissima, i palazzi settecenteschi di Corso Bellini, Rovereto Città della Pace come testimonia la Campana dei Caduti, e poi il Mart e la Casa Depero, il Museo Storico della Guerra e Il Museo di Scienze e Archeologia, non sia una città a vocazione turistica?

E vogliamo parlare del capoluogo, di Trento Città del Concilio, dei Principi Vescovi, per secoli signori incontrastati, punto di incontro tra il mondo Mediterraneo e quello continentale? Una città che è un vero gioiello, incastonata tra le sue montagne e il paesaggio verdeggiante delle colline con le ville storiche, i giardini, i belvedere. Con Piazza Duomo e la sua cattedrale. Un luogo dove la cultura è viva grazie alla prestigiosa Università, al Muse, al Castello del Buonconsiglio, al Museo Diocesano, alle biblioteche e ai tanti siti storici.

Credo proprio che Trento e Rovereto meritino la qualifica di città turistiche, a prescindere dall'apertura dei negozi, e confido in un saggio ripensamento.

Lucia Coppola
Consigliera provinciale di Futura

 

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